ISLE CIES

 

Ci sono le giornate delle “grandi occasioni” e sono quelle mattine in cui ti svegli eccitata perché sai che sarà un giorno importante, di quelli che non si dimenticano. La mattina del viaggio verso le Cias mi sentivo così, come una bambina al suo primo giorno di scuola (solo al primo perché poi una volta capito l’andazzo non ci si sveglia più felici ed eccitati).

Wirginia si era alzata già da tempo per aggiornare il blog e per bere il suo caffè mattutino, essenziale, senza se e senza ma. Di quei giorni, in generale, mi porterò comunque sempre dietro l’immagine di Wirginia in pigiama, all’alba, in giro per bere il suo caffè della carica perché senza quello non riesce neanche a dire buongiorno e come si chiama.

Le Cias sono state per noi una tappa importante perché i 18 km fatti a piedi dentro l’aera naturale ci hanno regalato una preziosa alternanza di momenti di assoluto silenzio e momenti di parole profonde, scambi di pezzi di vita propria. Il bello dei viaggi è anche questo, si recupera la base primordiale delle relazioni tra persone, si recuperano parole, contatto fisico e silenzio.

Eli e il mare

Prendere la nave da Vigo mi dava l’impressione di essere nel mio sud e precisamente di essere in una di quelle classiche giornate estive da gita fuori porta in terra sicula con il solito aliscafo in cui è obbligatorio mangiare “l’arancina”. Invece il freddo e la pioggia lentamente mi hanno riportato nella dura realtà galega.

Arrivate sulla terra ferma isolana io e Wirginia eravamo le turiste più su di giri di tutta l’isola. Continuavamo a gridare “guarda…hai visto che pesci meravigliosi che si vedono? Hai visto l’acqua trasparente? E i gabbiani? E il faro, il faro lo vedi lassù in alto?”

Era la prima volta che vedevo Wirginia perdere quel controllo che fino ad allora l’aveva caratterizzata, ero chiaro che il posto era talmente suggestivo da far emergere l’anima da “bambino al parco giochi” che c’è in ognuno di noi.

Superato lo stupore iniziale abbiamo compiuto missioni che voi umani non potete capire: un bagno a mare con una temperatura di 16 gradi, un lungo discorso a tu per tu con i gabbiani e una mangiata di polpo e peperoni dalle dimensioni importanti e soprattutto dai prezzi bassissimi (Le isola hanno un’economia bassissima e alla portata di tutti. Si mangia con 10 euro pesce fresco appena pescato e il biglietto per arrivarci costa 15 euro).

Quando sei consapevole di essere in uno dei dieci posti più belli del mondo cerchi di tenere a mente tutto per portartelo sempre dietro. Rubo quanto più puoi e come un canguro inizi a riempire il tuo sacco interiore di quelle immagini “rifugio” da tirar fuori nelle giornate invernali di pioggia, di quei colori “rifugio” da sbandierare contro il grigio inverno. Porti via tutto con te, lo conservi come se fosse un tesoro segreto da preservare e invidi un po’ chi vive là come ad esempio Carolina e Jago che lavorano nell’unico bar presente su tutta l’Illa do Faro (oltre al Bar c’è solo un campeggio con un numero limitato di posti tenda in cui bisogna prenotare con largo anticipo).

Loro fanno parte delle circa 30 persone che vivono l’isola sette mesi l’anno e precisamente per la stagione primaverile/estiva che inizia a marzo e finisce ad ottobre. Per sette mesi tornano in città un solo giorno a settimana e ogni volta che ci tornano dicono di “sentirsi stranieri” nelle loro stesse città.

Jago conosce l’isola come le sue tasche, ci andava in vacanza da piccolo con la famiglia e poi ha deciso crescendo di farne un posto suo, nel vero senso della parola. Per loro quella bellezza così sfacciata e così semplice è normale, la vivono come se facesse da sempre parte di un qualcosa che gli appartiene e proprio per questo la preservano da tutto e tutti. Ad esempio sull’isola non ci sono generatori di corrente ma un generatore e basta, perché l’ambiente è la perla rara del luogo e non va rovinato.

Vivere sette mesi la è un po’ come stare dentro “Il grande fratello” ci spiegano perché si conoscono tutti e 30 e vivono in simbiosi tra loro. Per Carolina le Cias sono sinonimo di pace, per Jago la parola “tudo-tutto” racchiude appieno, invece, il significato.

Wirginia- sessione fotografica " fa freddo!"

Andare in un posto simile vuol dire non solo farsi il bagno con l’acqua ghiacciata e conoscere i gabbiani e gli abitanti del luogo, ma anche e soprattutto camminare lungo il parco naturale raggiungendo il faro, punto più alto dell’isola. Dalla spiaggia sono più o meno 9 km all’andata e 9 nove al ritorno. Una camminata surreale in cui il suono della natura è interrotto solo dal rumore delle onde oceaniche che si scagliano con prepotenza sulle rocce.

All’andata abbiamo colto questo regalo immenso rimanendo in un religioso e rispettoso silenzio come se le nostre voci potessero, in qualche modo, dare fastidio o interrompere quella “musica locale” che da sola bastava a farci capire dove eravamo e dove stavamo andando.

Arrivare al Faro e vedere tutte le isole dall’alto ha un non so ché di unico che è difficile riportare battendo semplicemente le dita sui tasti di un pc. Basti sapere che la camminata di ritorno, piena di tutto ciò che avevamo visto, ha avuto una leggerezza e un passo felice in cui io e Wirgi siamo entrate in relazione e da lì non ci siamo più lasciate.

pulo a la gallega e paella

 

 

 

 

 

 

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